
Se “Canzoni da spiaggia deturpata”, il primo disco de Le Luci della centrale elettrica, fosse venuto al mondo come raccolta poetica anziché come cd, sarebbe stata la silloge più sorprendente dell’ultimo ventennio. Di certo, avrebbe venduto giusto una ventina di copie, grazie ad amici che si sarebbero sentiti in dovere di amicizia, e parenti obbligati dal dovere di parentela. La poesia non gode di grandi fortune editoriali in Italia. In formato disco, invece, con un sottofondo musicale, le cose non potevano che andare meglio, e di certo Vasco Brondi, alias Le Luci, questo lo sapeva bene.
Il fatto è che, nel suo progetto, la musica potrebbe tranquillamente non esserci. Non c’è la melodia, neppure accennata: lui non canta – e lo riconosce, molto onestamente, nelle note di questo disco.
Ma, in effetti, è proprio di questo album che dovremmo parlare. E si fa, purtroppo, presto: è la copia-carbone del primo cd. E forse quel lavoro aveva anche una freschezza, sempre a livello di testi, maggiore.
Mi preme comunque chiarire che non ho nulla contro Le Luci; anzi, ascolterò con interesse gli album successivi a questo, dato anche che li ho. Dico, scrivo, solo quello che mi giunge alle orecchie. Senza tante considerazioni che, con la musica, non c’entrano un fico secco.